Stefan Felder: «Tra responsabilità dello Stato e responsabilità del singolo deve esserci un limite chiaro»

Berna/ , 24 Agosto 2023

La cooperazione è uno dei valori fondamentali di curafutura. Spesso le soluzioni migliori nascono proprio dai partenariati tra gli attori. In una serie di interviste dedicate alla collaborazione diamo la parola agli attori del sistema sanitario.

Secondo Stefan Felder parlare di assicurazione di base in Svizzera è fuorviante: di fatto l’assicurazione obbligatoria è un’assicurazione completa. Il professore di economia sanitaria dell’Università di Basilea sottolinea l’importanza di avere regole chiare e la necessità di ridurre le prestazioni nell’assicurazione malattie obbligatoria.
Stefan Felder (*1960) è professore di economia sanitaria all’Università di Basilea e direttore del Basel Center for Health Economics. Le sue aree di ricerca prioritarie sono la concorrenza e la regolamentazione dell’assicurazione malattie come pure la priorizzazione delle prestazioni mediche.
Come definirebbe l’elenco delle prestazioni dell’assicurazione di base?

Di per sé, parlare di assicurazione di base è fuorviante. Basta guardare l’elenco delle prestazioni rimborsate per capire che l’AOMS è tutto fuorché un’assicurazione di base. Di fatto, è un’assicurazione completa per tutto e per tutti come non ne esistono altre al mondo. Da quando è stata accettata in votazione popolare nel 1994, le prestazioni rimborsate sono aumentate di pari passo con i progressi tecnici della medicina e con le esigenze crescenti degli assicurati, tanto che oggi il 97-98 per cento dei trattamenti medici è coperto.

Bisognerebbe limitare l’elenco delle prestazioni?

Sì, e bisognerebbe farlo urgentemente. Ma nessuno vuole sentirne parlare. Oggi i fornitori di prestazioni sono liberi di sperimentare novità senza che, di regola, sia necessaria una garanzia di assunzione dei costi. E così, l’elenco delle prestazioni si allunga, una situazione che dipende più dall’aumento del volume delle prestazioni che non dall’evoluzione dei prezzi.

Che ruolo hanno le assicurazioni complementari?

Il settore delle assicurazioni complementari è meno dinamico: è vittima dell’espansione dell’AOMS che propone sempre nuove prestazioni. La quota della spesa sanitaria finanziata dalle assicurazioni private non supera il 6,5 per cento e segna una tendenza al ribasso. Nell’assicurazione complementare si paga soprattutto per avere un livello di comfort più elevato. Il fatto di essere seguiti dal primario o di avere una camera privata non significa beneficiare di un’assistenza medica migliore. La tendenza che osserviamo è assurda. Dovrebbe succedere il contrario: più una società è ricca, più alta dovrebbe essere la quota dei costi sanitari finanziata dall’assicurazione malattie privata.

Ogni autunno si discute dell’aumento dei premi delle casse malati. Il resto dell’anno, invece, molti attori, politici e media spingono per inserire nuove prestazioni nell’elenco dell’AOMS.

Quasi nessuno sa che i premi, tenuto conto anche della sovvenzione concessa dai Cantoni, coprono solo il 30 per cento circa della spesa sanitaria. La politica e l’Amministrazione fanno promesse e distribuiscono risorse, gli assicuratori hanno un margine di manovra limitato e gli assicurati hanno le mani legate. La compresenza di diverse fonti di finanziamento crea confusione a livello di responsabilità.

Sembra rassegnato…

No, sono realistico. Le cose non accennano a cambiare. Ogni anno le spese aumentano del 3-4 per cento. Il problema fondamentale nella sanità è che la responsabilità dello Stato non è regolamentata. Dove finisce questa responsabilità? Hanno tutti diritto a una medicina «di lusso», come quella che può avere il presidente degli Stati Uniti? Ovviamente no. Tra responsabilità dello Stato e responsabilità del singolo deve esserci un limite chiaro. È una questione scomoda e proprio per questo non viene affrontata.

L’elenco delle prestazioni dell’AOMS deve essere sfoltito. Guardare solo al proprio orticello non è una soluzione.
Come si può interrompere questa spirale?

Il Tribunale federale ha criticato già nel 2010 il fatto che la politica non abbia definito i criteri per valutare il rapporto costi-benefici delle prestazioni mediche. Servono regole esplicite su come misurare i benefici di una terapia, su come mettere a confronto costi e benefici e su quale sia la disponibilità della società a pagare questi costi. Regole che la Gran Bretagna e i Paesi scandinavi hanno adottato da tempo.

Dove ci collochiamo rispetto agli altri Paesi?

Siamo ai primi posti soprattutto in termini di accesso alle prestazioni mediche. La densità di medici esercitanti in uno studio, soprattutto specialisti, è molto alta. Contrariamente ai Paesi vicini, non ci sono tempi di attesa per i trattamenti elettivi. Si osserva tuttavia un sovraccarico nelle procedure di omologazione e rimborso di nuovi farmaci costosi. È lo scotto che paghiamo per non avere una base giuridica convincente che permetta di misurare i benefici delle prestazioni mediche.

Se potesse modificare la legge, cosa proporrebbe?

Sono passati quasi trent’anni dalla votazione popolare che ha sancito l’introduzione dell’AOMS e ancora non abbiamo una legislazione attuativa che regolamenti i tre criteri di efficacia, appropriatezza ed economicità. Personalmente, aggiungerei una disposizione analoga a quella che figura nella legge sanitaria tedesca: la valutazione costi-benefici poggia sugli standard internazionali della medicina basata sull’evidenza e dell’economia sanitaria riconosciuti dalle rispettive cerchie professionali.

Le basi ci sono, bisogna solo usarle. Perché la discussione su costi e benefici delle terapie mediche è un tabù?
Cosa la spinge a partecipare al dibattito sui costi della sanità?

La mia motivazione parte da una semplice constatazione: possiamo organizzare meglio e con maggiore efficienza il nostro sistema sanitario senza compromettere la qualità delle prestazioni. Molti degli argomenti avanzati nel dibattito sui costi sanitari sono fallaci e mirano ad assicurarsi potere e vantaggi. Così mi sono dato come missione di provocare i medici.

Perché?

Perché generalmente non vogliono discutere di regole chiare. Prendiamo per esempio l’ospedale universitario di Basilea, che ha un fatturato annuo di 1,3 miliardi di franchi ed è gestito come un’alleanza di principati. Pur disponendo di attrezzature modernissime, la gestione e i processi sono superati. La conseguenza? Tutto è estremamente costoso.